Quando i dati escono di scena: cosa succede davvero in un data breach e come cambia la nostra vita digitale

Immagina di tornare a casa e di trovare la porta spalancata, l’armadio aperto e i cassetti rovesciati.
Non manca nulla di materiale, ma qualcuno ha fotocopiato tutto: documenti, foto, lettere d’amore, estratto conto, ricette della nonna.
Il furto non si vede, però è appena successo.
Un data breach è questo, solo che la casa è un server, i documenti sono i tuoi dati e il ladro non ha neppure dovuto forzare la serranda: è entrato da una finestra lasciata socchiusa da chi doveva aggiustarla.
Dal 2013 a oggi: il buco nero è più grande di San Francisco
Il primo studio che mise nero su bianco la portata del fenomeno fu quello di Gemalto nel 2014: oltre un miliardo di record compromessi in dodici mesi. Sembrava un bollettino di guerra, invece era solo l’antipasto.
Nel luglio 2023 lo stesso gruppo – oggi Thales – ha aggiornato i conti: 36 miliardi di record trafugati nel decennio.
Per dare un’idea, sono più di quattro volte la popolazione terrestre.
E il 2024 non sta facendo rimpiangere il passato: entro settembre sono già stati segnalati 5,3 miliardi di record compromessi, con picchi singoli come il breach di “National Public Data” (2,9 miliardi di record contenenti nomi, indirizzi, SSN e parentele) e quello di “Ticketmaster/Snowflake” (560 milioni di account di clienti di concerti e sport).
Perché il danno non è “solo” economico
Nel 2022 l’FBI ha registrato 800.944 denunce di cyber-crime per un totale di 10,3 miliardi di dollari di perdite, ma la cifra è una fotografia parziale: non include il tempo che passerai a spiegare alla banca che quel mutuo non l’hai chiesto tu, né l’ansia di vedere comparire la tua faccia su un deep-fake pornografico, né il ricatto subito da un adolescente il cui diario digitale è finito su un forum russo.
Nel Regno Unito, l’ICO (l’autorità privacy) ha stimato che il 32 % delle vittime di breach sanitari sviluppa sintomi di ansia o depressione entro sei mesi.
I dati non sono aggiornatissimi, ma nel 2023 l’NHS ha dovuto offrire assistenza psicologica a 12.000 pazienti dopo il ransomware di “NHS 111”.
La nuova geografia del rischio
Fino a qualche anno ago il mantra era “usa password lunghe e non cliccare sul principe nigeriano”.
Oggi il punto debole è spesso una catena di sub-fornitori che neanche l’azienda conosce.
Prendete il caso MOVEit: un software di trasferimento file usato da migliaia di enti pubblici e banche.
A maggio 2023 un bug zero-day ha esposto i dati di oltre 2.000 organizzazioni in un solo colpo, tra cui il Ministero della Difesa francese, la BBC, British Airways e la stessa Shell.
Il gruppo Cl0p non ha attaccato direttamente questi colossi: ha semplicemente trovato il punto più sottile della corda e l’ha tagliato.
GDPR: multe che fanno male, ma non bastano
Il regolamento europeo ha portato le sanzioni a sette cifre.
Nel 2024 Meta ha preso 1,2 miliardi di euro per il trasferimento illecito di dati personali verso gli USA; TikTok 345 milioni per il trattamento minorile; Clearview AI 305 milioni per aver creato un database biometrico senza consenso.
Le aziende però stanno imparando a “fare i conti”: se il costo atteso di una multa è inferiore al profitto derivante dal trattamento massiccio dei dati, il breach diventa un rischio calcolato.
Serve una svolta: in Italia la proposta di legge “Alessandroni” (DDL 2284/2022) chiede sanzioni penali personali per gli amministratori e l’obbligo di risarcimento immediato alle vittime, ma è ferma in commissione da un anno.
Cosa può fare una persona sola – e cosa non basta più
- Congelare i servizi di credito: in Italia si può chiedere la “frode alert” a Crif, Experian e CTC. Costa pochi euro ed è valido un anno.
- Password uniche + manager: ancora oggi il 68 % degli italiani riutilizza la stessa password. Se non vuoi un vault self-hosted, Bitwarden ha un piano gratuito open-source; se invece vuoi tenere tutto in casa, Vaultwarden si installa su un Raspberry Pi in mezz’ora.
- Verifica in tempo reale: il portale haveibeenpwned.com di Troy Hunt ora invia notifiche push se la tua mail finisce in un nuovo dump; in alternativa Firefox Monitor e Google Password Checkup scansionano automaticamente le credenziali salvate nel browser.
- Menomare il dato: dove possibile, dare informazioni incomplete. Il negozio online ha davvero bisogno della tua data di nascita? Il campo “nome” può diventare “G. Rossi” senza che nessuno si offenda.
- Backup criptati offline: quando il ransomware colpisce (e lo fa nel 40 % dei casi di breach aziendale), l’unico antidoto è un disco scollegato aggiornato almeno ogni settimana.
Il problema non è “se”, ma “quando”
Nel 2019 Bruce Schneier diceva: “I dati sono un sottoprodotto tossico del XXI secolo”.
Sei anni dopo la frase è ancora vera, solo che la tossicità è diventata cronica.
Non esiste un software, un consiglio o una legge che possa renderci immuni: l’unica difesa è ridurre la quantità di veleno che produciamo, chiedere conto a chi lo immagazzina e, quando il danno arriva, avere già in tasca il piano di fuga.
Perché il furto dei dati non è un episodio: è il prezzo d’ingresso a un mondo che ha scelto di conoscere tutto di noi, prima ancora che noi conoscessimo noi stessi.